foto Massimo Mantovani
IN CONCERTO
Fresu, Sosa e Gurtu trio
9 giugno Rocca Brancaleone – Ravenna
Ravenna Festival www.ravennafestival.org
Omar Sosa duo - Omar Sosa e Childo Tomas
26 giugno Sala Buzzati - Fondazione Corriere della sera - Milano
27 giugno Teatro Carignano - Torino
La Milanesiana 2011 www.provincia.milano.it/cultura/progetti/milanesiana_old/index.html
Omar Sosa quintet - Kind of Blue – Prima e esclusiva nazionale
27 luglio Teatro La Fenice – Venezia
Veneto Jazz www.venetojazz.com
Omar Sosa piano solo
30 luglio Santuario di San Romedio – Sanzeno (TN)
Non sole Jazz Festival www.nonsolejazz.altervista.org
Omar Sosa Trio
31 luglio Villa Celimontana - Roma
Villa Celimontana Jazz Festival www.villacelimontanajazz.com
Omar Sosa piano solo
7 settembre Stadttheater - Merano
Settimane Musicali Meranesi www.meranofestival.com
Strumenti Musicali, giugno 2011
Calma è il quinto album di pianoforte solo di Omar Sosa. È un lavoro dalla singolare abilità, e che rappresenta l’approccio unico e originale di Omar a questo genere.
Il cd contiene tredici improvvisazioni di piano solo che fondono elementi stilistici del jazz, della nuova musica classica, dell’ambient e dell’elettronica.
Come suggerisce il titolo, la sensazione complessiva è di rilassatezza e introspezione, senza nessun tentativo di impressionare l’ascoltatore dal punto di vista tecnico. Al contrario, l’intento è quello di evocare riflessione e contemplazione.
Come Omar afferma: “Ogni canzone mi ha dato l’ispirazione per la seguente, l’improvvisazione è stata la base dell’espressione musicale. Ho voluto suonare dall’inizio alla fine senza pensare, ma solo sentendo dentro di me dove le note mi avrebbero condotto, seguendo la voce della mia anima. È possibile che il silenzio, il desiderio, la speranza, l’ottimismo e la tristezza abbiano contributo di pari passi alla nascita di molte delle canzoni”. Il disco ospita una affascinante combinazione raramente ascoltata prima di piano acustico, piano elettrico Fender Rhodes, altri effetti elettronici e suoni campionati. Tutti gli strumenti sono stati registrati insieme live in uno studio, senza un ulteriore mixaggio, con l’artista che ha interagito in modo spontaneo e in tempo reale con i vari elementi sonori.
La sensibilità armonica non ortodossa di Omar è evidente attraverso tutto l’album. Possiamo sentire giri armonici sorprendenti, con sonorità che si mescolano e si sciolgono in maniera imprevedibile. E l’uso sottile e integrale che Omar fa degli elementi elettronici in molti dei brani funge da substrato alla ricchezza e profondità sonora.
Ritmicamente, l’impressione dell’album è tranquilla e meditativa, prevalgono sensazioni di fluidità e sospensione. Solo in Aguas (una versione di Across Africa dal cd di Omar Across The Divide nominato ai Grammy) e in Dance Of Reflection (versione della composizione firmata da Omar Muevete En D) si incontra un ritmo più energico. E melodicamente il materiale tematico di Calma è quieto e sobrio.
Immaginiamo la sensibilità melodica di Erik Satie che incontra quella di Pierre Boulez…
Il Manifesto - 22/07/10
L'Unità - 17/07/10
Sette del Corriere della Sera - 15/07/10
Tre voci musicali uniche e differenti insieme per uno speciale progetto in trio che combina elementi musicali tradizionali e moderni. Questi tre istrionici e straordinari performers ricercano ispirazione e sfida gli uni negli altri, con l’intento di trasmettere e condividere con gli spettatori la stessa esperienza: il giro del mondo in musica, partendo da India, Italia e da Cuba.
Pianista eccezionale, poliglotta musicale che unisce i continenti, Omar Sosa, tra l’utopia e la realtà, è un’allegoria dello scambio artistico universale. Nato nel 1965 a Camagüey, a Cuba, comincia a studiare musica a otto anni al conservatorio municipale, dove si avvicina alle percussioni, e in particolare alle marimba. Continua il suo cursus alla Scuola Nazionale di Musica dell’Avana, poi all’Istituto Superiore d’Arte. Segue una formazione accademica di composizione, armonia e strumentazione. Forte di questa base teorica, si avvicina allora al pianoforte, che l’aveva sempre affascinato per il suo carattere orchestrale e percussivo, diventando presto il suo strumento preferito. La pratica del pianoforte, che Omar suona da autodidatta, sarà sempre influenzata da quella delle percussioni: è il suo stile personale, di grande audacia ritmica, diventato ormai il suo tratto caratterizzante.
foto Massimo Mantovani
Omar comincia subito a suonare in contesti molto vari. Cresciuto nella cultura cubana più tradizionale, scopre ben presto il jazz, il pop, il funk, grazie anche ai programmi americani trasmessi alla radio. È anche l’epoca in cui i musicisti emigrati tornano con cassette e dischi di nuove forme di musica: il paese si apre all’estero e Omar ne approfitta.
Il genere che lo affascina maggiormente è il jazz: sente che è più di una musica, una vera filosofia di vita, una scuola della libertà. Si procura i dischi dei più grandi pianisti (Oscar Peterson, Herbie Hancock, Chick Corea, Keith Jarrett), interessandosi anche alle armonie bop di Charlie Parker, le melopee spiritualiste di John Coltrane e scopre soprattutto Thelonious Monk; il suo stile, aspro e dissonante, diventa per lui un riferimento assoluto.
Alla fine degli anni 80, Omar comincia a lavorare come direttore musicale con cantautori cubani (Vicente Feliu e Xiomara Laugart), poi nel 1993 emigra in Ecuador, a Quito, per un viaggio che sarà decisivo. In un paesino sulla costa occidentale trova un’espressione musicale folklorica originale, fortemente attaccata alle radici africane. Comincia a concepire una musica sincretica, in grado di conciliare tutta la diversità delle espressioni generate dalla diaspora africana. Capisce che lo swing, la danza, il rapporto con il corpo, con la sensualità, sono qualità essenziali che si trovano nel jazz, nella musica portoricana, caraibica, cubana, e che, al di là delle differenze stilistiche nate dal metissage culturale, hanno un’origine comune: l’Africa rubata agli schiavi.
Ha allora trovato la sua strada. Crea un primo gruppo ispirato dalla “jazz fusion”, Entrenoz, trascorre un po’ di tempo in Spagna, a Palma de Mallorca, poi si trasferisce nel 1995 a San Francisco, dove s’impone velocemente come leader sulla scena latin jazz.
Qualche mese dopo il suo arrivo, esce il primo disco negli Stati Uniti, con Otà Records, Omar, seguito nel 1997 dallo straordinario Free Roots. Con Spirits of the Roots (nel 1998) e Bembon (nel 2000), si afferma come leader indiscusso del jazz ibrido, aperto ai ritmi latini e afro-americani di tutto il Nuovo Mondo, ma anche a quelli dell’Africa del Nord, ai canti berberi e al rap. Il groove afro-cubano si trasforma immediatamente in complesse pulsazioni urban; le tradizioni orali (gnawa, yoruba…) si sovrappongono allo slam e all’hip hop.
Omar Sosa trascorre allora più tempo in Europa, dove sviluppa nuovi progetti: registra con John Santos (Njumbe); un secondo disco da solista esce nel 1999 (Inside), magnifica deriva contemplativa e impressionista. Soprattutto continua le sperimentazioni orchestrali, confrontando il suo universo con tradizioni musicali del mondo intero. Con Prietos (2001) e Sentir (2002), apre il suo universo ai ritmi, alle sensazioni del mondo arabo. Non smette di incontrare musicisti, culture diverse: si esibisce in duo col percussionista venezuelano Gustao Ovalles (Ayaguna), col francese Mino Cinelu, crea un opera sinfonica di quarantacinque minuti, From Our Mother, che combina motivi folclorici cubani, venezualani e ecuadoriani con armonie jazz.
Con Mulatos si avvicina all’universo high-tech ed elettronico, e lascia per un momento l’esuberanza degli ibridi formali. Ed è sempre presente questa volontà, questo desiderio di confrontarsi con lo sconosciuto, lo straordinario che lo guidano. Dice della sua musica, con grande generosità: “Ciò che può un’immagine fedele della diversità della musica attuale non è la fusione superficiale di elementi eterogenei; ma l’intuito che tutte queste tradizioni hanno qualcosa a che fare le une con le altre, e che è tempo di farle riconciliare, di farle cantare all’unisono.”
L’elettronica è ancora presente in Promise, album del 2006, che lo vede collaborare con Paolo Fresu e sancisce l’incontro con un quartetto di musicisti che diventerà in pianta stabile il suo Afreecanos quartet che lo seguirà fino all’ultimo lavoro, pubblicato nel 2008, che si intitola proprio Afreecanos.