Foto © Alessandro Ziantoni
Massimiliano D’Ambrosio è stato l’ultimo dei mitici giovani del Folkstudio di Giancarlo Cesaroni. Era il 1994. E di questa sua provenienza conserva una riservata e preziosa attitudine. Da Giancarlo ha imparato una lezione che nessuna scuola ti insegnerà mai e che in nessun libro troverai.
È un segreto però.
Massimiliano pettina e cura le sue canzoni come un giardino. Le innaffia e le protegge come le rose. Le copre d’inverno e le libera d’estate. Possiede quello che si potrebbe definire il rispetto della musica.
Massimiliano è figlio di una certa America e di un certo Brasile. Come scoprirete ascoltando questo disco.Che ha il sapore della grande canzone d’autore.
Massimiliano con le sue Canzoni per nessuno entra in un bosco e vi compie dodici passi, dodici chilometri, ci passa dodici notti. Nel bosco dissemina dodici pezzi di pane, dodici sassolini. E vi lascia dodici impronte. Chiamandole ciascuna con dei concetti precisi, chiari, definitivi.
"Ho aspettato molto a registrare un nuovo disco.
Ho fatto passare davvero molti anni.
Un po’, sicuramente, per pigrizia, un po’ per carenza di ambizione e
un po’ perchè non avevo nulla da dire.
Viviamo un’epoca in cui è quasi obbligatorio esprimersi, fare uscire contenuti in continuazione e farlo velocemente ma io credo che per avere qualcosa da dire ci sia bisogno di crearsi un po’ di silenzio, un po’ di solitudine. Deleuze la chiama la “dolcezza di non avere niente da dire” e secondo lui è la condizione perché si formi qualcosa di raro che meriti,
per poco che sia, di essere detto.
La valigia era piena di storie e non è stato facile rovistare tra di esse e provare ad orientarmi, ho provato ad aggrapparmi con gli occhi a qualche stella polare. Orientarsi tra le stelle, come una specie di Carver. La musica brasiliana, la poesia di Chico Buarque che ho tradotto, magari indegnamente, è stata una di quelle stelle.
Un’altra è stata la musica dei grandi cantautori italiani, ai quali devo tutta la mia educazione musicale e sentimentale e verso i quali questo disco vuole essere una specie di omaggio.
Non mi piace vivere nel passato però ho nostalgia di quando la poesia bussava alla porta dei cantautori, quando si scrivevano canzoni per persone capaci di ascoltare un album dall’inizio alla fine più volte e scoprire qualcosa di nuovo ad ogni ascolto ed emozionarsi della scoperta ed entrare così in collegamento, in intimità con l’artista.
Anche l’ordine dei brani aveva un suo fascino, un suo mistero.
Ho nostalgia di quando i cantautori seguivano più la bellezza e
la passione che i circuiti commerciali e ti costringevano
ad utilizzare la testa ed il cuore.
Viviamo tempi aggressivi e violenti ed è per questo che ho sentito la necessità, dopo tanti anni, di alzare le tapparelle e
di fare un disco, a modo mio, sentimentale.
12 quadri,
12 fotografie,
12 manciate di polvere gettate dentro questa notte buia e
che tentano di ribellarsi a questo tempo.
12 canzoni aperte, a libera interpretazione.
Recentemente Dylan ha fatto questa riflessione:
“le canzoni di oggi non hanno sfumature,
non hanno chiaroscuri, parlano di una sola cosa.
Non c’è mistero.
Forse è questa la ragione per cui al momento
il luogo dove la gente ripone i propri sogni non è la musica.
I sogni soffocano in ambienti poco areati”.
Benvenuti tra le mie canzoni, spero, areate, che non sono di nessuno."